L’evasione di un cosiddetto “boss del Gargano” dal carcere di Nuoro ha ispirato un illuminante commento del locale capo della polizia penitenziaria, il quale è stato categorico: “Non si è trattato di un’azione estemporanea (sic!) …”. Se ne deduce che in un carcere di massima sicurezza le evasioni potrebbero essere anche un’improvvisata. Il questore di Nuoro ha voluto anche lui cimentarsi nella gara di perspicacia, chiarendo che questa evasione è “una cosa che sembra difficile da realizzare senza averla programmata e studiata”. Le telecamere di sicurezza riprendono infatti il boss della mafia garganica che se la squaglia utilizzando la tecnica delle lenzuola annodate, e altre modernissime tecniche del manuale dell’abate Faria. Non è interessante stabilire se tale evasione sia stata autogestita oppure assistita, e se le lenzuola le abbia fornite il ministro della Giustizia in persona; tanto meno ci interessa sapere se si tratta di un’evasione a tempo indeterminato, oppure di una licenza a termine, giusto per sbrigare qualche commissione, come quella concessa un mesetto fa a un detenuto agli arresti domiciliari, che la stampa ha indicato come un pericoloso killer di ‘Ndrangheta. Quell’evento dei primi di febbraio non aveva avuto una particolare risonanza, eppure era già un indizio che nel regime del 41bis ci sono figli e figliastri. Il punto vero è che nel sistema penitenziario, come in qualsiasi altra forma di potere, la cialtroneria e la crudeltà possono benissimo coesistere, anzi si completano a vicenda.
In un’intervista alla “Stampa”, il PM antimafia Sebastiano Ardita, già del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha ovviamente avallato lo scaricabarile della Corte di Cassazione su Alfredo Cospito, ma non ha potuto fare a meno di constatare a denti stretti che la sua vicenda ha completamente sputtanato il mito del 41bis, e che il regime è ormai un porto di mare, talmente pletorico da rischiare il crac. Insomma, il 41bis è sicuramente tortura per alcuni detenuti, ma non significa affatto sicurezza, anzi, prevede incontri, e magari persino summit, tra i boss. Il mito del grande castigamatti era stato alimentato dalle fiction di mafia, congegnate a volte come veri e propri spot, nei quali la minaccia del 41bis faceva tremare i boss e induceva i protervi malavitosi alla collaborazione. Il 41bis era stato quasi personificato e ci era stato spacciato come un altro Mastro Lindo, potente ed efficiente con un tocco di sadomaso, invece si trattava di pubblicità ingannevole, per cui non solo si teneva lo sporco nascosto sotto il tappeto, ma ci si stava soprattutto vendendo qualcos’altro.
In linea con l’iperbole pubblicitaria i quotidiani e i telegiornali fabbricano balle spaziali sugli anarchici; una sorta di “fantanarchia”, al cui confronto la “fantarcheologia” del caro vecchio Peter Kolosimo era un modello di rigore scientifico. Abbiamo così anarchici che obbediscono ciecamente ad un capo, anti-organizzatori organizzatissimi e irreggimentati, individualisti sottoposti ad una disciplina ferrea, nemici della gerarchia che troverebbero nelle gerarchie mafiose il loro Eden, e via delirando. Il tg3 del 25 febbraio ci informava di alcune azioni rivendicate (letteralmente) dalla “Galassia anarchica”. Niente potrebbe essere più preciso e circostanziato che la Voce della Galassia. Chi mai oserebbe avanzare dubbi su di una simile rivendicazione?
Per contrastare le minacce cosmiche, la risposta potrebbe essere quella suggerita dalla serie Star Trek, nella quale si arriva all‘auspicata FUP, la Federazione Unita dei Pianeti, per tenere a bada le agitate galassie. La cialtroneria della comunicazione ufficiale non soltanto è complementare alla crudeltà inquisitoria nei confronti delle opposizioni, ma soprattutto è funzionale al business dell’antiterrorismo che esige una narrativa tanto generica e fumosa quanto suggestiva. Qualcuno infatti potrebbe ridurre tutta la narrativa galattica ad una questione di deficit intellettivo dei giornalisti, invece le cose non vanno meglio quando si tratta dei mitici “inquirenti”, come dimostra il rapporto di intelligence presentato dal governo lo scorso 28 febbraio. A parte la beffa per il contribuente, costretto a pagare profumatamente per questo cumulo di banalità e aria fritta, gli “esperti di intelligence” confessano a pagina 93 del rapporto di aver allestito un “dispositivo informativo” sulla minaccia anarchica, in pratica una rete di infiltrati e confidenti, dalla quale si apprende che la civiltà occidentale sarebbe, nientemeno, minacciata da un’internazionale di autostoppisti e saccopelisti.
Il concetto di mafia è giuridicamente preciso e delimitato, mentre quello di terrorismo è assolutamente vago e indistinto, può diventare un contenitore in cui c’è tutto e il contrario di tutto; non a caso ora è spuntata anche la proposta di configurare un nuovo reato, il terrorismo di piazza. Il petardo attribuito a Cospito è stato riconfigurato dalla Cassazione come strage, perciò non ci sarebbe nulla di strano nel considerare terrorismo anche il cercare di danneggiare a colpi di cranio delle proprietà dello Stato come i manganelli dei poliziotti. L’operazione di enfatizzazione della minaccia terroristica e del mettere assieme cose che non c’entrano l’una con l’altra, non è affatto nata ora, bensì risale a quando nel ministero della Giustizia si è istituito un organismo come la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (DNAA); in tal modo si è creato un ibrido foriero di confusione e del tutto disfunzionale alla legalità, ma funzionalissimo agli affari delle lobby.
L’operazioncina di ibridazione è stata compiuta di soppiatto dal governo Renzi nel febbraio 2015, in un Decreto Legge numerato con il 7, nel quale si metteva un po’ di tutto. In effetti all’epoca le masse erano intrattenute e distratte con demenziali quanto inutili progetti di revisione costituzionale, perciò quasi nessuno si accorse della nascita del nuovo organismo geneticamente modificato, ed i giornalisti per anni hanno continuato a riferirsi a quell’organismo solo per quel che riguardava la sua funzione antimafia, dimenticandosi di quella A in più che compariva nell’acronimo e che ne rende il suono particolarmente inquietante. Il forzato incontro tra Cospito e i boss era stato, in un certo senso, già combinato in quel decreto del febbraio 2015, convertito in legge nell’aprile successivo. Avrebbe anche dovuto mettere sull’avviso il fatto che in un unico decreto si parlava di mafia, terrorismo ed anche di missioni militari, ma prima si sarebbe dovuto sapere che quel decreto esisteva.
Il militarismo ha i suoi meccanismi inesorabili, per cui ogni investimento nella guerra diventa inevitabilmente investimento nella guerra civile. Il militarismo non può accontentarsi dei nemici esterni, ma necessita di nemici interni, poiché la spesa nella ricerca tecnologica per gli armamenti e per l’intelligence militare deve comportare delle ricadute in ambito civile, altrimenti il business non risulta abbastanza conveniente. Mettere Difesa ed antiterrorismo, antiterrorismo e antimafia, tutti nello stesso calderone, è appunto un’operazione di lobbying d’affari. Se di terrorismo ce n’è troppo poco per creare allarme, non c’è problema, dato che basta dilatare la categoria di terrorismo e l’emergenza è servita. Ogni cittadino va criminalizzato preventivamente in quanto potenziale terrorista, perciò va spiato e controllato in ciascun interstizio della sua esistenza; o, almeno, questa è la fiaba “noir” che deve giustificare il giro d’affari. Per coronare il business, per farcelo digerire, non poteva e non doveva mancare lo spot dell’antimafia; poiché l’antimafia è buona, è bella, è civilizzatrice, è progressista, è politicamente corretta, quindi non desta diffidenze come il militarismo.
Mentre gli anarchici hanno assoluta necessità di capi, di gerarchie, di disciplina ferrea anche solo per allacciarsi le scarpe, ed obbediscono come un sol uomo agli impulsi telepatici di Cospito, al contrario il lobbying non ha bisogno di impartire ordini. Il lobbying infatti può esibire l’irresistibile seduzione del movimento di denaro: è sufficiente alludere al fatto che un po’ di terrorismo farebbe comodo agli affari, perché tutti (politici, magistrati, giornalisti) si adeguino spontaneamente. Non per scusare i giudici della Cassazione, ma ormai il business dell’antiterrorismo si è messo in moto e non si può pretendere da dei comuni mortali che frappongano il loro fragile corpo allo tsunami del denaro. Secondo la vulgata, Diritto e politica dovrebbero essere macchine dotate dello sterzo, del freno e della marcia indietro, cioè della capacità di correggersi; ma politica e Diritto sono stati soppiantati dal lobbying, dall’attivismo delle cosche d’affari, e quello ha solo l’acceleratore, ed è anche unidirezionale. Nel lobbying è il denaro che pensa al posto tuo, e pensa esclusivamente a come riprodursi, adottando ogni volta l’etichetta che fa comodo in quel momento, che può essere lo Stato o il mercato, il pubblico o il privato, il legale o l’illegale. Permane comunque un fascino delle astrazioni per cui dopo tutto quello che è successo con l’emergenzialismo Covid, che ha travolto ogni illusione di legalità, il povero Giorgio Agamben continua a trattare lo Stato non come un “brand”, ma come se fosse veramente un soggetto politico/istituzionale.
comidad (del 02/03/2023 in Commentario 2023)